Il Governo Facta II è stato in carica dal 1º agosto[1] al 31 ottobre 1922[2] per un totale di 91 giorni, ovvero 2 mesi e 30 giorni. Si dimise il 28 ottobre, in seguito al rifiuto del re Vittorio Emanuele III di firmare il decreto sullo stato d’assedio con cui si intendeva contrastare la Marcia su Roma dei gruppi fascisti.
Le circostanze in cui sono avvenute le dimissioni di Draghi dimostrano che chi ha parlato di “tradimento”, da parte del Movimento Cinque Stelle o di Giuseppe Conte, si è prestato a una narrazione semplicistica dettata da mala fede.
Il problema di una legislatura infida e incestuosa in cui abbiamo visto alleanze improbabili tra coloro che fino a qualche settimana dopo le elezioni giuravano inimicizia eterna e disprezzo totale, non poteva che finire in una deprimente farsa.
Resta il fatto che non bisogna dimenticare che questa crisi affonda le radici in un 2018 orribile; un 2018 in cui le forze in campo si sono cimentate in una azione di distruzione, demoniizzazione e delegittimazione reciproche che hanno minato a fondo la Repubblica e la credibilità delle stesse forze politiche che, ogni qualvolta intraprendevano un’alleanza, non potevano che intraprenderla che con il “nemico” giurato.
Uno dei nodi sui quali si è inceppata la trama del tessuto democratico è stato quello dello sciagurato referendum sul taglio dei parlamentari: un provvedimento populista, inutile e dannoso che ha minato sia la rappresentanza democratica, sia l’autorevolezza delle Camere.
Un taglio che già era stato praticato di fatto dalla pandemia che aveva decimato il Parlamento, a lungo “mandato in onda” in forma ridotta, senza che gli Italiani se ne accorgessero. Un taglio che è divenuto quasi accettabile anche da parte di quella minoranza che si era opposta con tutte le forze a una riduzione senza senso della democrazia rappresentativa, proprio in un momento in cui il famoso “pilota automatico” osservava l’Italia con ghigno malefico.
La peggiore legislatura che sia mai capitata al Paese è riuscita a rendere odiosa la classe politica a tutte quelle forze sociali che pensano alla politica come azione di miglioramento, più o meno bilanciata, delle condizioni dei cittadini: dalla componente di sinistra pacifista, non-violenta, sensibile ai diritti dei lavoratori, all’istruzione pubblica e alla salute come diritto per tutti, presa in giro dal partito dei Minniti e degli Ichino; alla componente cattolica che, fattasi coscientemente turlupinare dal bigottismo dei cristianisti senza Cristo come Salvini e Meloni, si ritrova ormai giustamente invisa e disprezzata da tutti quei cittadini che credono in uno Stato laico e che temono la perdita di quei diritti umani e civili ancora garantiti dalla Costituzione; o ancora tutti coloro che hanno creduto nel rivoluzionario progetto di coinvolgimento dei cittadini comuni rivendicato dal Movimento Cinque Stelle che si è confermato (se ce ne fosse stato bisogno, dopo la legislatura del 2013) solo un contenitore in cui la preponderanza di yes man e yes meal pronti ad annuire a qualsiasi decisione del Capo ha arrecato discredito anche a quei pochissimi parlamentari che si erano distinti per competenza e onestà intellettuale; o ancora i liberali della diaspora che credono di volta in volta alle sirene di ex monopolisti innaturali, come Berlusconi, di inquietanti ex sindaci come Renzi (che, come tutti i sindaci, è magneticamente attratto dai più torbidi poteri industriali, petroliferi, digitali o geopolitici) o da strani fenomeni pariolini come Calenda che, nelle sue dichiarazioni in favore della videosorveglianza o del controllo sui social, appare non più liberale rispetto ai peggiori populisti sudamericani; per non parlare di quei liberali che hanno guardato a Draghi come se fosse il futuro del Paese.
Marcia su Roma perciò non è più un’espressione che indica l’avanzata dell’autoritarismo violento sulla Città Eterna, avvenuta con l’avallo corresponsabile dell’industria, della finanza e della borghesia fondiaria; marcia su Roma è invece diventata l’attributo più appropriato della componente umana che si è incrostata intorno alle strutture ministeriali della capitale: strutture oggi occupate politici finiti (non oggi ma già dieci anni fa), da consorterie che ne assicuravano il consenso attraverso finanziamenti in cambio di privilegi, dalla borghesia stracciona delle concessioni eterne, dal mondo di mezzo che tra pizzo, bocciofile, comitati di quartiere e liste civiche sta monitorando la costruzione di una nuova e pericolosissima destra: una destra fatta da vittimismo e soprusi, dichiarazioni roboanti e malaffare, ostentata devozione e credulità popolare, applausi al capopopolo e quella santa impunità che non potrà che sfociare in violenza mirata contro gli oppositori.
Il tutto mentre c’è un’intera classe di tecnocrati presuntuosi che sono convinti di poter tenere a bada la Bestia, ritenendosi “unti” dell’olio santo della propria presunta competenza; tecnocrati che sono così certi di essere indispensabili alla Repubblica da non rendersi neanche più conto che grazie all’incessante lavoro di delegittimazione della politica democratica da loro attuato, in particolare con questo ultimo disgraziato governo, di qui a cinque anni potrebbe non esistere più una Repubblica.
Se in questo Paese esiste ancora una vaga ombra di politica, allora sarà fondamentale che tutti coloro che non vogliono la trash right a Palazzo Chigi, si alleino per creare un’alternativa all’attuale arco costituzionale: sinistra ecologista, sociale, pacifista o libertaria, mondo radicale, fautori della partecipazione dei cittadini alle decisioni, centro cristiano, destra liberale, insomma tutto ciò che in questi cinque anni non abbiamo mai visto in Parlamento, dovrebbero coalizzarsi per creare ciascuno con un programma specifico secondo la propria natura e vocazione politica, una coalizione elettorale unica!
Una coalizione che sia fermamente pronta a condizionare il Parlamento o a prenderne la guida su determinati interventi e su alcuni principi:
coinvolgimento trasparente dei cittadini nelle azioni politiche, attraverso analisi puntuali e consultazioni
lotta ai monopoli e alle rendite derivanti dalle concessioni pubbliche
riforma del catasto e riforma delle politiche abitative
rispetto della legalità per assicurare la massima concorrenza per le imprese e trattamenti salariali in linea con le direttive europee
trasparenza, efficienza e sostenibilità della fiscalità
trasparenza, efficienza e sostenibilità dei servizi al cittadino e della sanità
trasparenza, efficienza e sostenibilità della giustizia
diritto alla conoscenza e all’istruzione
tutela dei diritti individuali e riconoscimento dei diritti digitali a cominciare dal diritto alla privacy
gestione razionale dei flussi migratori, rispettosa dei diritti umani e di quelli garantiti dalla Costituzione e individuazione di meccanismi trasparenti per la concessione della cittadinanza
e, soprattutto, rispetto del Parlamento e riconoscimento della necessità di intraprendere alleanze parlamentari indipendenti dalle alleanze elettorali. MA MAI E POI MAI CON I FASCISTI!
Naturalmente nulla di tutto questo accadrà, ma probabilmetne questo è l’ultimo momento in cui valga la pena scriverlo. Altrimenti la prospettiva sembra segnata…
Le circostanze in cui sono avvenute le dimissioni di Draghi dimostrano che chi ha parlato di “tradimento”, da parte del Movimento Cinque Stelle o di Giuseppe Conte, si è prestato a una narrazione semplicistica dettata da mala fede.
Il problema di una legislatura infida e incestuosa in cui abbiamo visto alleanze improbabili tra coloro che fino a qualche settimana dopo le elezioni giuravano inimicizia eterna e disprezzo totale, non poteva che finire in una deprimente farsa.
Resta il fatto che non bisogna dimenticare che questa crisi affonda le radici in un 2018 orribile; un 2018 in cui le forze in campo si sono cimentate in una azione di distruzione, demoniizzazione e delegittimazione reciproche che hanno minato a fondo la Repubblica e la credibilità delle stesse forze politiche che, ogni qualvolta intraprendevano un’alleanza, non potevano che intraprenderla che con il “nemico” giurato.
Uno dei nodi sui quali si è inceppata la trama del tessuto democratico è stato quello dello sciagurato referendum sul taglio dei parlamentari: un provvedimento populista, inutile e dannoso che ha minato sia la rappresentanza democratica, sia l’autorevolezza delle Camere.
Un taglio che già era stato praticato di fatto dalla pandemia che aveva decimato il Parlamento, a lungo “mandato in onda” in forma ridotta, senza che gli Italiani se ne accorgessero. Un taglio che è divenuto quasi accettabile anche da parte di quella minoranza che si era opposta con tutte le forze a una riduzione senza senso della democrazia rappresentativa, proprio in un momento in cui il famoso “pilota automatico” osservava l’Italia con ghigno malefico.
La peggiore legislatura che sia mai capitata al Paese è riuscita a rendere odiosa la classe politica a tutte quelle forze sociali che pensano alla politica come azione di miglioramento, più o meno bilanciata, delle condizioni dei cittadini: dalla componente di sinistra pacifista, non-violenta, sensibile ai diritti dei lavoratori, all’istruzione pubblica e alla salute come diritto per tutti, presa in giro dal partito dei Minniti e degli Ichino; alla componente cattolica che, fattasi coscientemente turlupinare dal bigottismo dei cristianisti senza Cristo come Salvini e Meloni, si ritrova ormai giustamente invisa e disprezzata da tutti quei cittadini che credono in uno Stato laico e che temono la perdita di quei diritti umani e civili ancora garantiti dalla Costituzione; o ancora tutti coloro che hanno creduto nel rivoluzionario progetto di coinvolgimento dei cittadini comuni rivendicato dal Movimento Cinque Stelle che si è confermato (se ce ne fosse stato bisogno, dopo la legislatura del 2013) solo un contenitore in cui la preponderanza di yes man e yes meal pronti ad annuire a qualsiasi decisione del Capo ha arrecato discredito anche a quei pochissimi parlamentari che si erano distinti per competenza e onestà intellettuale; o ancora i liberali della diaspora che credono di volta in volta alle sirene di ex monopolisti innaturali, come Berlusconi, di inquietanti ex sindaci come Renzi (che, come tutti i sindaci, è magneticamente attratto dai più torbidi poteri industriali, petroliferi, digitali o geopolitici) o da strani fenomeni pariolini come Calenda che, nelle sue dichiarazioni in favore della videosorveglianza o del controllo sui social, appare non più liberale rispetto ai peggiori populisti sudamericani; per non parlare di quei liberali che hanno guardato a Draghi come se fosse il futuro del Paese.
Marcia su Roma perciò non è più un’espressione che indica l’avanzata dell’autoritarismo violento sulla Città Eterna, avvenuta con l’avallo corresponsabile dell’industria, della finanza e della borghesia fondiaria; marcia su Roma è invece diventata l’attributo più appropriato della componente umana che si è incrostata intorno alle strutture ministeriali della capitale: strutture oggi occupate politici finiti (non oggi ma già dieci anni fa), da consorterie che ne assicuravano il consenso attraverso finanziamenti in cambio di privilegi, dalla borghesia stracciona delle concessioni eterne, dal mondo di mezzo che tra pizzo, bocciofile, comitati di quartiere e liste civiche sta monitorando la costruzione di una nuova e pericolosissima destra: una destra fatta da vittimismo e soprusi, dichiarazioni roboanti e malaffare, ostentata devozione e credulità popolare, applausi al capopopolo e quella santa impunità che non potrà che sfociare in violenza mirata contro gli oppositori.
Il tutto mentre c’è un’intera classe di tecnocrati presuntuosi che sono convinti di poter tenere a bada la Bestia, ritenendosi “unti” dell’olio santo della propria presunta competenza; tecnocrati che sono così certi di essere indispensabili alla Repubblica da non rendersi neanche più conto che grazie all’incessante lavoro di delegittimazione della politica democratica da loro attuato, in particolare con questo ultimo disgraziato governo, di qui a cinque anni potrebbe non esistere più una Repubblica.
Se in questo Paese esiste ancora una vaga ombra di politica, allora sarà fondamentale che tutti coloro che non vogliono la trash right a Palazzo Chigi, si alleino per creare un’alternativa all’attuale arco costituzionale: sinistra ecologista, sociale, pacifista o libertaria, mondo radicale, fautori della partecipazione dei cittadini alle decisioni, centro cristiano, destra liberale, insomma tutto ciò che in questi cinque anni non abbiamo mai visto in Parlamento, dovrebbero coalizzarsi per creare ciascuno con un programma specifico secondo la propria natura e vocazione politica, una coalizione elettorale unica!
Una coalizione che sia fermamente pronta a condizionare il Parlamento o a prenderne la guida su determinati interventi e su alcuni principi:
Naturalmente nulla di tutto questo accadrà, ma probabilmetne questo è l’ultimo momento in cui valga la pena scriverlo. Altrimenti la prospettiva sembra segnata…