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Esiste davvero una cospirazione per distruggere Assange? Ecco cosa abbiamo trovato ne “Il Potere Segreto” di Stefania Maurizi

Siamo proprio sicuri che debba tornare in libertà un non-giornalista hacker come Assange accusato di stupro, di crimini informatici, di avere messo a rischio la vita di migliaia di persone e soprattutto di fare il gioco dei nemici dell’Occidente?

La figura di Julian Assange è tra quelle maggiormente soggette a polarizzazione.

Possiamo affermare che tutte le persone almeno minimamente informate abbiano sentito parlare del non più giovane hacker che con i suoi sodali pubblicava indiscriminatamente documenti riservati mettendo a rischio la sicurezza dell’Occidente e facendo il gioco di Trump, di Putin e dei terroristi.

Ma la polarizzazione è uno delle principali ostacoli alla conoscenza, perché ci porta a non voler considerare le informazioni che non si allineano alla nostra visione del mondo e, perciò, quando leggiamo qualcosa che riguarda Julian Assange, la prima cosa che facciamo è analizzare il contesto: se proviene da fonti più affini alla nostra visione, allora siamo disposti a dedicarvi tempo nella lettura; se invece le informazioni provengono da ambiti che non ci piacciono, allora per il principio di economia, le evitiamo.

Non è un caso che le notizie a favore di Assange circolino quasi esclusivamente presso ambienti complottisti, blog ferocemente antiamericani, testate rossobrune e filorusse o movimenti noVax!

Non è un caso che le notizie a favore di Assange circolino quasi esclusivamente presso ambienti complottisti, blog ferocemente antiamericani, testate rossobrune e filorusse o movimenti noVax!

Questa narrativa complottista è imbevuta di molte parole chiave, ma vogliamo concentrarci su alcune di queste: potere, segreto, distruggere e l’immancabile verbo privo di soggetto coniugato alla terza persona plurale (dicono, vogliono, tacciono, decidono, etc).

La nostra recensione del libro della giornalista Stefania Maurizi vuole iniziare proprio dal titolo e dal sottotitolo che campeggia sulla copertina

Quattro parole chiave nella stessa copertina… Coincidenze? No, non lo crediamo…

La forza che trasmette questo titolo, infatti, costituisce a nostro parere proprio la principale debolezza del libro: la debolezza consiste nel fatto che la pubblicazione appare fin da subito come un libro a tesi. Il ché ne indebolisce la portata proprio laddove sarebbe più utile la circolazione, ossia presso quel pubblico colto, borghese, “informato”, moderato, riformista o semplicemente conformista, che costituisce il principale rivestimento di quel muro di gomma costruito per isolare Assange e Wikileaks dalla solidarietà umana soprattutto ma anche civile, che l’editore australiano meriterebbe.

Il potere segreto è davvero un libro a tesi?

Appare evidente dalla lettura del libro che Stefania Maurizi nutra una profonda stima e un particolare affetto per Julian Assange, così come provi un sincero orrore per il trattamento cui è sottoposto; tuttavia dalla struttura e dai contenuti del libro traspare quella ingombrante oggettività che si è potuta raggiungere solo grazie allo sforzo encomiabile di chi ha seguito da anni le vicende raccontate, entrando in contatto diretto con tutti i protagonisti e tutte le fonti accessibili.

La prima parte del libro è fortemente focalizzata sulle “imprese” di Wikileaks, su come abbia davvero cambiato per sempre il modo di fare giornalismo, su come abbia gettato luce sulla presenza di un vero e proprio “potere segreto“, fino ad allora derubricato a narrazione complottista e residuale; piano piano che si procede nella lettura, questa “Wikiliade” inizia a stemperarsi sempre di più nella lunghissima e sofferta “Julissea”, la devastante tempesta giudiziaria che gli dei dell’intelligence hanno voluto si abbattesse su di lui.

In questo epos tutt’altro che epico, in questa sorta di Eneide al contrario, ogni passaggio è supportato da un apparato bibliografico di tutto rispetto e gli intricati elementi che compongono la vicenda Assange e che la rendono così poco comprensibile vengono riposizionati con cura in una linea temporale comprensibile, vengono contestualizzati e supportati da memorie, documenti, dati e date. Un’operazione che definire giornalistica è purtroppo riduttivo, in tempi in cui i giornalisti che godono di maggiore fortuna sono quelli che raccontano le sensazioni e il sentito dire, e che merita di essere definita archivistica.

Gli elementi che rendevano incomprensibile la vicenda di Assange diventano comprensibili nel tempo, contestualizzati e supportati da memorie, documenti, dati e date

Malgrado il titolo del libro, la storia personale dell’autrice e la sua vicinanza emotiva a Julian Assange possano farlo credere, non è perciò possibile derubricare quello di Stefania Maurizi come un libro a tesi. Si tratta invece di una onesta e complessa opera che mette in ordine i fatti.

Ed è questo ciò di cui si sente più il bisogno, all’interno di una vicenda sottoposta fin da subito a un forte inquinamento informativo: una strategia operata da chi conosce molto bene i meccanismi, le vulnerabilità e gli automatismi del Quarto Potere e che ha praticato una sorta di SQL Injection che ha mandato in avaria il sistema informativo!

Quarto, terzo e secondo potere

Ma siamo proprio sicuri che debba tornare in libertà un non-giornalista hacker come Assange accusato di stupro, di crimini informatici, di avere messo a rischio la vita di migliaia di persone e soprattutto di fare il gioco dei nemici dell’Occidente?

Assange è un giornalista? Ebbene, pur non avendo un tesserino, ha svolto lo stesso lavoro che potrebbe svolgere un giornalista di cronaca giudiziaria o di analisi finanziaria, in più è stato a tutti gli effetti un caporedattore e soprattutto è stato un editore, un editore rivoluzionario, benché Wikileaks non risulti registrata come testata. Assange è anche un hacker, non solo perché lo è stato, ma anche perché il suo modo di “violare” il sistema dell’informazione è puro hacking, ma è importante anche ricordare che l’hacker non è un criminale (cybercriminale è il termine giusto), ma hacker è chiunque sia in grado di aumentare le performance o l’ambito di utilizzo di un “oggetto” grazie alle proprie abilità. Assange è stato accusato da giovane di crimini informatici ma non è mai stato accusato di stupro. Inoltre nessuno ha mai portato una sola prova del fatto che con le sue rivelazioni abbia messo a rischio la vita di qualcuno che non sia sé stesso. Infine, accusarlo di fare il gioco dei nemici del cosiddetto “Occidente” è un’accusa alquanto sospetta da parte di chi ha effettivamente causato la morte di molti innocenti (lo dimostrano proprio i documenti di Wikileaks) dal momento che, non a caso, è la motivazione preferita da ogni regime quella di accusare gli avversari di intelligenza col nemico.

Come è quindi evidente, la frase iniziale non contiene alcuna affermazione significativa. Per la precisione, non contiene alcuna affermazione! La frase precedente ha tuttavia una fortissima caratterizzazione connotativa e riassume montagne di articoli, commenti, veline, post, tweet, chiacchiere da bar che sono divenute patrimonio irrinunciabile dei denigratori di Assange: di quelli in buona fede, di quelli che forse non lo sono e soprattutto di quelli che in buona fede non sono mai stati.

Uno dei meriti del libro di Stefania Maurizi è che aiuta il lettore a risalire all’origine di ognuna di quelle accuse più o meno velate. Accuse che sono divenute via via la cornice principale su cui si sviluppano la maggior parte delle discussioni su Assange, quando queste travalicano il minuscolo giardino pensile dei suoi sostenitori. Accuse che Stefania Maurizi o smonta totalmente o restituisce al giusto contesto.

Ma se il disordine informativo costituisce parte fondamentale per alienare le simpatie del pubblico verso Assange, questo serve anche per colpirlo con più ferocia attraverso il “terzo potere”, quello giudiziario.

Ne’ “Il potere segreto” si affronta con un dettaglio mai visto prima la sequenza di azioni giudiziarie, da quelle strumentali come l’accusa di stupro (che sturo non è, ma che è stato considerato stupro solo nelle veline rilanciate dagli organi di informazione!), a quelle tenute nascoste per portare Assange ad abbassare la guardia, fino a quelle impiegate successivamente all’arresto che, come le accuse basate sull’Espionage Act, segneranno uno spartiacque per l’informazione indipendente di tutti i paesi del mondo.

Ma è anche il “secondo potere” quello che viene descritto nelle pressioni diplomatiche tra stati, nelle pressioni sull’autorità giudiziaria di paesi diversi e in quelli che potrebbero essere stati veri e propri ricatti di ordine finanziario che hanno leso il potere sovrano di singoli stati.

Il libro di Stefania Maurizi rappresenta pertanto una mappa dettagliatissima di quel terreno infido su si è svolta la battaglia impari tra Assange e il “potere segreto”; e quel terreno è costituito proprio da quarto, terzo e secondo potere.

La nostra impressione sul libro “Il potere segreto”

Se fino a questo punto abbiamo voluto cercare di dare una valutazione sui contenuti del volume, una valutazione che speriamo possa offrire una chiave di lettura aggiuntiva al testo della Maurizi, è doveroso aggiungere qualche nostra impressione sul caso Assange per come emerge dal lungo resoconto ragionato che Stefania Maurizi ci ha fornito sulla vicenda.

Il grande assente: il primo potere

Uno dei problemi principali è che quello che la Maurizi definisce “Potere segreto” non è facilmente individuabile e definibile: sappiamo che non ha l’aspetto dei capi di stato e di governo, che di fronte alla vicenda sono interpreti praticamente intercambiabili; ma non ha neanche la forma della giustizia, malgrado essa si sia spesso mostrata “sensibile” alle ragioni del “potere segreto”; esso appare piuttosto come un complesso reticolato “autoreggente” di interessi, un interesse privatissimo che può essere spacciato facilmente come interesse pubblico e che trova uno spazio di manovra, uno spazio vitale nella segretezza che gli ordinamenti sul segreto di stato consentono di assicurare loro.

Tuttavia questo “potere segreto” non si riesce a definire con precisione. Sappiamo che si aggrega a difesa degli interessi del cosiddetto “complesso militare industriale” ma può essere difficile distinguerlo da quella sorta di sistema immunitario, moralmente legittimo, che ogni stato deve possedere per resistere alle pressioni di forze straniere e nemici interni.

Perché, al di là degli aspetti umani e di quelli strettamente legati al rispetto dello stato di diritto, il problema di Assange può essere ricondotto a un unico dilemma: le azioni di Assange mettono a rischio la sicurezza nazionale?

Perché, al di là degli aspetti umani e di quelli strettamente legati al rispetto dello stato di diritto, il problema di Assange può essere ricondotto a un unico dilemma: le azioni di Assange mettono a rischio la sicurezza nazionale?

Il libro “Il potere segreto” sembra suggerirci che nessuna delle spiegazioni offerte dai governi sia mai riuscita a dimostrare che Assange possa essere stato effettivamente pericoloso per l’interesse nazionale. Ma come facciamo a essere certi che non ce lo abbiano potuto confermare proprio per una questione di sicurezza nazionale? Magari anche il solo dire quali sono state o sarebbero state le situazioni di pericolo, avrebbe comportato rischi eccessivi.

Purtroppo non lo sapremo probabilmente mai, ma una cosa è certa e a dimostrarla è proprio l’accanimento particolarissimo che si è scatenato contro Assange: se l’editore australiano fosse stato davvero un pericolo per l’occidente, sarebbe stato più razionale, utile e addirittura giusto assassinarlo in uno dei tanti modi conosciuti dal controspionaggio occidentale (peraltro, ora sappiamo che Trump lo aveva anche proposto).

E invece l’approccio utilizzato contro Assange è stato soprattutto “educativo”, didattico e didascalico! La battaglia legale della giustizia di stato si è avvalsa di tutte quelle strategie dilatorie, aggressive, eccessive che spesso vengono utilizzate dagli attivisti per intralciare i governi! L’intenzione è dimostrare di essere in grado di ucciderlo senza assassinarlo.

Un messaggio devastante per tutti gli operatori dell’informazione: ecco che il “potere segreto” si è mostrato quando Assange ha osato troppo, così tanto da non poter fuggire dall’ira degli dèi. Con una sadica e voluta ironia: colui che aveva fatto della rete e della comunicazione il fulcro della propria attività è ora ridotto al silenzio e all’isolamento!

Dimmi, signor Anderson: a che serve una telefonata… se non riesci a parlare?

L’agente Smith durante l’interrogatorio

Ma purtroppo tutto questo ancora non basta per capire cosa sia questo “Potere Segreto“.

La sensazione che abbiamo è che il “potere segreto” non sia altro che il vuoto lasciato dal “Primo potere”: un vuoto che, nelle democrazie occidentali, si sta accettando sempre di più tra la maggior parte dei cittadini che preferiscono sempre più essere governati piuttosto che governarsi; cittadini la cui partecipazione attiva e passiva alle assemblee parlamentari (fulcro del controllo del popolo sul governo) diviene sempre più tiepida tanto più l’istruzione pubblica viene depotenziata e circoscritta a fabbrica di competenze, invece di essere considerata un laboratorio permanente di conoscenza.

La sensazione che abbiamo è che il “potere segreto” non sia altro che il vuoto lasciato dal “Primo potere”

Come nella teologia agostiniana, come l’ombra e il freddo non esistono, ma sono solo l’assenza di luce e calore, anche il “Potere segreto” non esiste in sé, ma è soltanto costituito dallo spazio lasciato vuoto dal “Primo potere”. Uno spazio in cui sopravvive con margini di autonomia sempre più grandi e con una potenza economica sempre più determinante, il sottobosco dei sedicenti “civil servant”.

La debolezza del “potere segreto”

Lo sforzo con cui il potere segreto si è accanito contro Assange ci fa però comprendere anche che chi lo anima considera la società civile come una specie di cisterna di nitroglicerina e, di conseguenza, tende a vedere il mondo dell’informazione come quella farina fossile in grado di fungere da stabilizzatore.

I giornalisti vengono premiati con la direzione delle testate pià prestigiose quando non addirittura con la presidenza delle massime istituzioni (a proposito: qualcuno riesce a indovinare la professione degli ultimi due presidenti dell’Europarlamento? E la loro posizione su Assange?).

I fatti per diventare notizie devono essere raccontati secondo un certo protocollo e, possibilmente, solo da persone in possesso di un tesserino apposito, altrimenti quei fatti non sono meritevoli di essere ricordati.

Per non parlare dei “dati” che un giorno qualcuno penserà che si chiamino così perché vengono dati per scontato, ma non devono essere dati… E in effetti ogni volta che qualcuno si avventura in una analisi seria degli stessi (cfr le analisi effettuate sugli “open data”) porta spesso a sorprese sgradevoli per la narrazione più tranquillizzante.

L’impressione di tutto questo scenario di oppressione è tuttavia particolarmente generosa di spunti interessanti: questo sistema che cerca la punizione esemplare per il giornalista che ha rivelato i crimini del potere, per essere precisi di una piccola parte del potere, ebbene questo sistema è fragile, impaurito come una belva ferita: come il leone che sbrana i piccoli della leonessa perché sa che un giorno loro potrebbero rimpiazzarlo. Un sistema che costruisce la sua forza sparando su ogni curioso che osi spingere il suo sguardo verso le crepe del muro. Un faraone che non vuole essere mai guardato dagli altri uomini per non sembrare così debole e… umano!

questo sistema è fragile, impaurito

Una tale consapevolezza apre a scenari estremamente interessanti per chiunque decida di organizzarsi per rivendicare il proprio potere negoziale, la propria importanza, la propria conoscenza, il proprio potere. Non un potere segreto ma un potere palese e trasparente

Un potere della cittadinanza che, secondo il modo di operare di Assange e Wikileaks, riveli e non nasconda i segreti e lo faccia in gruppo, basandosi su dati metadati e documenti; un potere che rivendichi sé stesso con il voto di candidati verificabili in base alle loro azioni e alle loro posizioni e che, secondo il modo di operare di Stefania Maurizi, è fatto di accessi agli atti, di richieste di spiegazioni e di un’instancabile opera di comunicazione verso il pubblico.

Nota sul titolo e sul sottotitolo del post

Questo post non è stato scritto per chi si è già fatto un’idea positiva su Assange, ma è per riuscire a bucare la bolla dei detrattori attivi e passivi, consapevoli e inconsapevoli di Julian Assange.

Questa bolla è estremamente resistente e culturalmente ostile a gran parte delle comunità che difendono Assange: spesso infatti per un’affinità e un processo di identificazione, hanno sostenuto Assange in maniera molto rumorosa proprio le comunità a carattere complottista (no-vax, qanon, etc) o quelle avvertite come più radicali (antiamericani, anarchici, maoisti, etc); d’altra parte chi ambiva a far parte di comunità più “composte” (liberali, dem, moderati, etc) ha spesso cercato di uniformarsi all’ambiente, evitando di prendere posizioni che lo facessero apparire come un complottista o un estremista.

Questa narrazione è stata sfruttata molto bene da quella parte di informazione che non vuole occuparsi di Assange.

Diventa perciò importante parlare di Assange soprattutto a chi lo ritiene un terrorista e uno stupratore, e che lo giudica così per inerzia e solo perché l’ha letto da qualche parte: e non sarà facile farlo.

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