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Instagram è un nemico della nostra privacy e della nostra democrazia?

Sebbene i giovani preferiscano ormai l’ancora peggiore TikTok, Instagram, con oltre un miliardo di utenti attivi mensili, è ancora uno degli strumenti più influenti della comunicazione digitale.

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Oltre a essere uno dei tanti strumenti di dominio geopolitico degli USA nel cosiddetto “Occidente”, o forse proprio per questo motivo, Instagram presenta rischi significativi per la privacy individuale e impatti controversi sulla politica democratica, soprattutto tra i giovani.

Uno studio del 2021 ha definito Instagram l’app più invasiva in termini di raccolta e condivisione dei dati personali, con una raccolta del 79% dei dati personali degli utenti (inclusi cronologia di navigazione, posizione, contatti e informazioni finanziarie) e una poderosa condivisione per fini commerciali con terze parti, come inserzionisti e broker di dati.

Le numerose violazioni di sicurezza hanno esposto milioni di utenti a causa di una gestione volutamente opaca e vulnerabile dei dati:

  • Nel maggio 2025, un database contenente 184 milioni di credenziali è stato trovato online, con dati provenienti da Instagram, Facebook e altri servizi.
  • Nel 2022, Meta è stata multata per 405 milioni di euro per aver esposto dati di minori su Instagram.
  • Le API di Instagram sono state sfruttate per raccogliere email e numeri di telefono, anche da account verificati.

E la democrazia

Instagram ha trasformato il modo in cui i cittadini, in particolare i giovani, si informano e partecipano alla politica e partiti di destra e soprattutto di sinistra si sono abbeverati con grande soddisfazione alla fabbrica di giovani follower costituita da Instagram: Instagram è ormai la piattaforma preferita per la comunicazione politica visiva e diretta, superando Twitter in efficacia.

I politici usano le dirette per commentare fatti di attualità, rispondere (poco) agli elettori, mostrare opere inaugurate, eventi e comizi in tempo reale e le dirette sono spesso integrate con stories e post per creare una narrazione continua.

I vantaggi apparenti per gli utenti sono la sensazione di disporre di un accesso diretto a contenuti politici, l’interazione con i leader (anche se X/Twitter si presta meglio) e soprattutto la cosiddetta mobilitazione attraverso hashtag, ma questo ha anche portato a momenti di partecipazione giovanile in movimenti come Black Lives Matter e Fridays for Future.

Tuttavia gli algoritmi creano echo chambers, dove gli utenti vedono solo contenuti che confermano le proprie opinioni e dove i partiti e movimenti si autoconvincono del proprio successo (salvo denunciare la censura quando cambiano gli algoritmi che suggeriscono contenuti); la diffusione di disinformazione e contenuti polarizzanti poi è risaputo quanto mini il dibattito democratico e la fiducia nelle fonti ufficiali.

Infine l’uso politico di Instagram come di tutti gli altri social può portare a engagement passivo, dove i giovani si informano ma non partecipano attivamente, un sottoinsieme di quello che chiamiamo “passivismo” web

Il Pew Research Center ha infatti rilevato che solo il 26% degli utenti Instagram usa la piattaforma per seguire contenuti politici, e la maggior parte non pubblica contenuti politici.

Questo non significa che Instagram abbia un ruolo marginale nella formazione di opinioni politiche consapevoli, ma solo che il tipo di fruizione del contenuto politico tende a privilegiare i contenuti più “facili” da consumare, quelli predigeriti e che possiamo assumere più inconsapevolmente.

Giovani e sensibilità politica: tra attivismo e manipolazione

Alcuni ragazzi usano Instagram per informarsi su temi ignorati dai media tradizionali, ma con qualche diffidenza verso le informazioni trovate sui social, ma il problema è che la pressione sociale determinata dall’esigenza di visibilità online può incentivare il “fedezismo” ossia quell’attivismo performativo, più orientato all’apparenza che alla sostanza, che fa bene al consolidamento reputazionale dell’influencer più che alla causa promossa.

Il tutto condito in salsa polarizzante, accentuata dalla personalizzazione algoritmica, che condiziona l’esposizione a opinioni diverse. Insomma: si litiga di più e si agisce di meno. Ai fini della costruzione di un valido ambiente di dibattito per i giovani, che spesso costruiscono le proprie opinioni in base a una sorta di “elettrizzazione per induzione”, tutto ciò è devastante: polarizzare i ragazzi è come pungolare e far sentire l’odore del sangue a un gruppo di cani da combattimento

Per mitigare questi effetti, sarebbe sicuramente importante promuovere l’alfabetizzazione digitale tra i giovani e regolamentare l’uso dei dati personali e la trasparenza algoritmica, ma soprattutto sarebbe essenziale incentivarne l’abbandono, o al massimo l’accesso a piattaforme alternative che favoriscano discussioni informate e non soggette a condizionamento algoritmico.

E Threads? O è il solito fallimento di Meta o un cavallo di Troia nel Fediverso

Threads, lanciata da Meta come se fosse una sorta di “inserto gratuito di Instagram” nel 2023 per fare concorrenza a Twitter/X, ha rapidamente guadagnato milioni di utenti. Presentata come compatibile con il protocollo ActivityPub, che regge il Fediverso, Threads promette interoperabilità e decentralizzazione. Ma dietro questa facciata si cela una strategia che minaccia l’etica del software libero e strumentalizza la decentralizzazione per espandere il potere di Meta.

Meta ha annunciato l’integrazione con ActivityPub per Threads, ma l’implementazione è limitata, opaca e parziale.

Gli utenti infatti possono solo condividere contenuti verso il Fediverso, ma non riceverli pienamente; la federazione poi è opt-in e non disponibile per tutti i contenuti (es. sondaggi, repost, risposte limitate). La ricerca di utenti del Fediverso da Threads poi è a dir poco ridicola e spesso impossibile. A questo punto noi europei dobbiamo dirci fortunati per il fatto che la federazione è inaccessibile nell’UE, a causa delle normative sulla privacy e del Digital Markets Act.

Alcuni server del Fediverso hanno bloccato Threads, temendo che Meta possa colonizzare l’ecosistema sia per questi motivi, sia perché Threads è software proprietario, chiuso e controllato da Meta e questo rende quantomeno stonata la sua presenza nel Fediverso perché oltre a violare i principi del software libero, introducendo un attore che non condivide codice né governance. sfrutta l’infrastruttura open per attrarre utenti, ma non contribuisce realmente alla comunità e, soprattutto, rischia di centralizzare un ecosistema nato per essere distribuito, rendendo Meta un nodo dominante.

Spoiler: no, al momento non ci è riuscito e probabilmente non ci riuscirà perché Meta fa schifo a creare nuovi progetti (qualcuno ricorda il Metaverso?)

Come ha osservato il blog Fediverse Report, Meta sta usando l’integrazione per rendere Threads più appetibile, non per promuovere la decentralizzazione.


Il vero obiettivo di Threads infatti è lo stesso di Instagram: raccogliere una quantità enorme di dati sensibili (vedi l’articolo del Time, il report di Dexerto e il già citato articolo di Cybernews): questi dati vengono condivisi con terze parti per fini pubblicitari, anche se Threads non mostra ancora annunci ( ma Meta ha dichiarato che gli annunci arriveranno quando l’app raggiungerà una massa critica).

Per dare l’idea dell’inferno digitale che è Threads, basti pensare che non è possibile cancellare il proprio account senza eliminare anche l’account Instagram cui è strettamente collegato!

Threads non sta promuovendo la decentralizzazione: la sta simulando per legittimare la propria espansione e raccogliere più dati. La sua integrazione con ActivityPub è parziale, controllata e orientata al marketing. In questo senso possiamo dire che si tratta di un progetto che aiuta benissimo a capire l’etica di Instagram e di Meta.

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